Copertina
Interno copertina
Foto ricordo, i soci dell’Associazione e gli studiosi che hanno permesso la pubblicazione del libro.
Da sinistra Orazio Sidoti ,Giuseppe Fumia ,Giuseppe Tomarchio, Lea Santisi, Gaetano Tradito, Rita Di Marco, Lidia Chillemi, Antonio Alibrandi ,Gaspare Mannoia. Presente anche l’artista Michele Patane’
L’ Associazione Culturale “Trinacria” con l’intento di valorizzare Calatabiano, sensibilizzare chi non conosce bene la storia e le potenzialità dei luoghi dove hanno vissuto i Calatabianesi, e far conoscere ai paesi limitrofi, e non solo, le peculiarità di un territorio tra i più belli della Sicilia, ha organizzato una manifestazione, cofinanziata dall’Assessorato Regionale BB.CC.AA., svoltasi a Calatabiano tra il 19 e il 26 Giugno 2005.
La suddetta manifestazione, che ha visto impegnati il presidente e tutti i soci, Lea Santisi, Chillemi Lidia, Sidoti Orazio, collaborati da Rita Di Marco, Graziana Spartà, Maria Amato e Beniamino Mirabile, è stata articolata in due fasi:
II 19 Giugno sono stati realizzati dei Murales, con a tema la storia del paese, in due siti all’ingresso di Calatabiano e, precisamente uno in contrada Carraro, realizzato da Vincenzo Azzolina e dal giovanissimo Filippo Tradito; ed uno nei pressi del cavalcavia dell’A. 18, in Via Garibaldi, realizzato da Maria Scuderi, coadiuvata dalla giovane Maria Elia.
I Murales hanno reso più gradevole la vista lì dove, da decenni, il cemento è stato padrone incontrastato.
Gli interventi, anche se pur di modesta entità, si spera possano essere ripetuti in futuro per poter così completare l’auspicato recupero ambientale di luoghi che meritano maggiore attenzione e rispetto da parte della comunità.
Domenica 26 Giugno hanno avuto luogo, presso l’Auditorium dell’Istituto “G. Macherione”, un convegno e delle mostre.
Una mostra di pittura, su carta papiro, è stata allestita dall’Associazione Culturale “SIKANIA” di Fiumefreddo di Sicilia, le cui opere sono state realizzate dal suo presidente, l’artista Michele Patane.
Una mostra fotografica è stata allestita dall’Associazione Culturale onlus “Sicilia senza frontiere” di Giardini Naxos curata da Domenico e Giovanni di Guardo.
Una mostra di pitture, con a tema storie e leggende di Sicilia, è stata allestita dal maestro Vincenzo Azzolina.
Un convegno su ” luoghi che testimoniano le civiltà passate di Calatabiano” ha concluso la serata, nel corso della quale, i soci dell’Associazione Trinacria hanno distribuito ai presenti in sala un quadro preparato con la tecnica del decoupage, raffigurante luoghi antichi di Calatabiano.
È necessario far rilevare che, al più presto, sono indispensabili interventi di recupero e manutenzione del castello di Calatabiano e dei luoghi di interesse storico naturalistico, per offrirli alla fruizione turistica.
Si ringraziano, infine, tutti i relatori che, con il loro lavoro, hanno permesso la realizzazione di questo opuscolo, si spera possa contribuire a valorizzare i luoghi che hanno segnato la storia di Calatabiano
Gaetano Tradito
Presidente dell’Associazione Culturale TRINACRIA
Le pagine del volume
Il Convegno
II convegno, il cui moderatore è stato Gaetano Tradito, che ha introdotto i lavori porgendo il benvenuto ai presenti e ringraziando quanti hanno collaborato per la realizzazione della manifestazione, ha visto la presenza, tra gli altri, di: Prof. Antonino Alibrandi, docente nei licei e studioso di storia.
Ing. Giuseppe Tomarchio, Presidente Archeoclub d’Italia sezione di Acireale.
Dott. Giuseppe Fumia, studioso di storia di Sicilia.
Geom. Antonino Muscarà, Funzionario della Soprintendenza BB.CC.AA. di Catania.
Dott. Giuseppe Costa Funzionario dell’Assessorato regionale Turismo.
Filippa Catalano, Presidente della Pro Loco di Calatabiano.
Angelo Valastro, Consigliere Provincia regionale di Catania.
L’arch. Gaspare Mannoia, che non ha potuto presenziare, ha inviato una relazione che è stata letta all’ assemblea.
Sono quindi iniziate le relazioni degli esperti intervenuti che qui di seguito riportiamo:
Ing. Giuseppe Tomarchio
Ringrazio L’Associazione Trinacria per l’invito rivoltomi e per avermi dato la possibilità di parlare ancora una volta del castello di CALATABIANO. In quest’occasione intendo approfondire l’argomento inerente le strategie e le tattiche difensive.
IL CASTELLO DI CALATABIANO STRATEGIE E TATTICHE DIFENSIVE
Esaminando le strutture del castello, si possono individuare alcune peculiari caratteristiche tipiche delle opere di difesa, che si inquadrano perfettamente nei classici schemi di architettura militare con l’applicazione di validissime tecniche, largamente sperimentate e risalnti anche ad epoca romana ed anche persine greca. La configurazione attuale del castello, che corrisponde a quella da esso posseduta nell’ultima sua fase operativa risalente al XVII° secolo, permette di distinguere diversi sistemi difensivi, alcuni utilizzati per il mastio, altri per il castello ed altri ancora per la protezione di tutto il borgo medievale. Il borgo era infatti racchiuso in un sistema difensivo costituito da una robusta cinta muraria intervallata da torrioni di vedetta e di difesa, dai cigli rocciosi naturalmente strapiombanti e della medesima perimetrazione meridionale dello stesso castello.
L’ingresso del borgo si individua nel varco del muro di cinta intersecato dalla stradella a gradoni di accesso al maniero. Si ha motivo di ritenere comunque che in una certa epoca siano stati forse aperti altri due ingressi e precisamente uno sul versante sud -est, immediatamente a valle della chiesetta del S.S. Crocifisso che si immetteva su un viottolo degradante in direzione del fiume Alcantara e, l’altro, sul versante sud – ovest, in corrispondenza di un antico sentiero che viene intercettato dallo strapiombante margine sud – ovest dal muro di cinta che si diparte dal roccione di vedetta del castello.
In ambedue i luoghi si nota infatti una marcata interruzione della struttura muraria della cinta esterna.
Il tratto di cinta esterna più conservato è quello ubicato a levante della chiesetta del Carmelo. Qui si possono ancora ammirare per la loro imponenza le cortine realizzate con muri spessi un metro alla base e culminanti nel coronamento con spessore di 60 cm. Tutte le cortine sono ancora munite di merli guelfi.
Il muro perimetrale esterno di recinzione al borgo era intervallato da torrioni ( se ne individuano ancora tre), che avevano le funzioni di consolidamento della cinta muraria, vedetta e difesa da eventuali attacchi con tentativi di scalata esterna della cortina.
L’accesso al castello è consentito da una stradella che si accosta nella su rampa terminale alla porta di esso sul lato destro, rispettando così una tradizione collegata intimamente ad una collaudatissima tecnica difensiva risalente al periodo delle fortezze ellenistiche. La rampa di accesso destra costringeva infatti gli attaccanti che si avvicinavano al castello e che imbracciavano lo scudo con la sinistra, di esporre il fianco destro indifeso ai difensori.Si osserva inoltre che, molto opportunamente, di fronte alla porta del castello non esiste alcun pianoro ma anzi il terreno è molto scosceso su ripidi roccioni.
Anche questo particolare si ricollega ad una tecnica difensiva intesa ad evitare nello spazio antistante la porta di ingresso, l’installazione o la manovra di testuggini usate per lo sfondamento della porta.
Sulla porta di ingresso del castello, si conservano ancora i beccatelli che reggevano un randello protetto da un pettorale esterno e dal quale per mezzo di diverse piombatoie si effettuava la «difesa piombante».
Tale randello, a parte l’arricchimento architettonico conferito al prospetto del maestoso maniero, aveva pertanto la funzione di controllo ma specialmente di difesa della porta in caso di un eventuale attacco portato sotto le mura.
Appena si varca la porta d’ingresso, si nota sulla sinistra un bastione sopraelevato per circa metri 1,50 e parzialmente mascherato da un muretto oggi parzialmente crollato.
Tale struttura, in caso di sfondamento della porta ed invasione delle truppe attaccanti nell’interno del castello, consentiva ad una guarnigione di difensori di poter contrattaccare alle spalle da una posizione privilegiata sia per la sopraelevazione, ma anche per la protezione del muretto e per l’adiacenza della porta medesima.
In ogni modo l’area della corte in caso di irruzione nel castello era tenuta direttamente sotto controllo da sovrastante alto bastione merlato che delimitava l’area della fortezza con quella del castello. Sopra il bastione, e dal suo muro munito di saettiere, i balestrieri potevano con successo colpire dall’alto con verrettoni gli aggressori che oltre tutto venivano già attaccati
alle spalle da quelle guarnigioni appostate sul girone interno con pettorale posto sopra l’ingresso e da altre attestate su terrapieno situato subito dietro la porta.
La cortina meridionale del castello doveva, in un primo momento, essere munita di un torrione rettangolare sporgente la cui struttura di base fu eccessivamente trasformata in ampia cisterna con volta a botte e dotata due bocche di accesso. Nel corpo di base si nota ancora una finestrella a due saettiere. Anche detta torre, che aveva tra l’altro il compito di controllare la cinta muraria del margine sud – est della cappella, costituiva un’ottima postazione di contrattacco dato che si trovava a distanza utile di balestra della porta del castello.
I criteri basilari di difesa della fortezza, alla quale si accede dal piano inferiore del castello attraverso una porta che si apre in un muro dello spessore di un metro circa, si basano su tecniche che risalgono al mondo greco e che ricordano molto da vicino alcune strutture del castello Eurialo di Siracusa.
Appena varcata la porta, si nota infatti, ben celata sulla destra un’apertura scavata nella roccia e mimetizzata da un diaframma intagliato pure nella viva roccia. Detta apertura costituisce l’accesso ad un vasto vano ipogeo privo di aperture, che da taluni studiosi è stato interpretato semplicemente come prigione, ma che in effetti, nella sua originaria progettazione doveva avere la importante funzione di accogliere una particolare guarnigione di difensori del castello.
Essi infatti potevano improvvisamente uscire dal vano sotterraneo e, non visti, contrattaccare alle spalle gli aggressori della fortezza.
Un sistema similare si può ammirare nel terzo vallo difensivo dell’ Eurolio a Siracusa.
È comunque attendibile che detto vano possa essere stato utilizzato in epoche diverse anche come prigione.
Anche nell’area di ingresso della fortezza si possono individuare delle ingegnose configurazioni che fanno ricordare alcune strutture dell’Eurialo.
Gli attaccanti, una volta superata la porta d’ingresso della fortezza, contrattaccati alle spalle dai difensori celati nel vano ipogeo, potevano rimanere intrappolati in quella zona che apparentemente, per la presenza di alcune strutture ora andate distrutte, poteva ritenersi l’ingresso al mastio, ma che in effetti era una trappola.
La configurazione di questa zona che infatti molto simile alla struttura della cosiddetta “Camera della morte” dell’Eurialo. Trattasi, cioè, di una corte cieca coronata tutt’intorno da un bastione sopraelevato dal quale i difensori potevano annientare con facilità gli ardimentosi attaccanti.Tutte le azioni di combattimento che si svolgevano nell’area bassa della fortezza potevano comunque essere sempre controllate dall’alto dai difensori appostati nel mastio. In esso, e precisamente nelle torri, era custodito l’armamento pesante costituito da catapulte, trabocchi e briccole.
Tutto il muro meridionale del corpo centrale del mastio che dominava l’area bassa della fortezza è abbondantemente munito di saettiere in doppio ordine e ciò fa presumere la presenza di strutture lignee, scalette palchi per l’azione simultanea degli arcieri e di balestrieri.
In caso di attacco al mastio era possibile applicare un ulteriore efficacissimo sistema difensivo costituito dal versamento di liquidi infiammabili dall’alto del torrione. Un tale ipotesi è suffragata dalla presenza nel corpo centrale del mastio e nei torrioni di alcune canalizzazioni inclinate verso l’esterno e che attraversano totalmente i massicci muri.
Il vero accesso al mastio era ed è tutt’ ora, abilmente mascherato. Si accede infatti mediante un mimetico sentiero a gradoni che tortuosamente si inerpica tra i roccioni.
L’unico ingresso è ricavato nel vano centrale rettangolare e delimitato dalle due torri semicircolari chiuse alla gola.
Anche tale soluzione era suggerita da motivi strategici relativi all’estrema difesa del maniero.
Infatti per coloro che riuscivano a penetrare in questo vano centrale, la visione dell’interno delle due torri era preclusa per la presenza dei due spessi muri contrapposti e pertanto riusciva impossibile valutare le forze avversarie di estrema difesa. In questo ambiente doveva avvenire l’ultimo scontro caratterizzato da un contrattacco contrapposto degli ultimi difensori asserragliati nelle due torri. È chiaro che, con una tale configurazione tattica, agli aggressori attaccati fra due fuochi dai difensori che uscivano contemporaneamente dalle due torri, si doveva presentare una situazione estremamente pericolosa. In caso di capitolazione del maniero era comunque sempre possibile la fuga realizzabile attraverso una bassa pusterla che si apre nel muro settentrionale del corpo centrale del mastio e che da accesso prima ad un pianoro ricavato sul ripido pendio settentrionale e poi ad un viottolo che conduce a fondo valle.
Dott. Giuseppe Costa
Commissario Straordinario dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Nicolosi, funzionario dell’Assessorato regionale turismo.
Ringrazio Gaetano Tradito per l’invito e porto i saluti dell’Assessore Regionale Fabio Granata oggi assente per improrogabili impegni istituzionali.
Sono da lodare le iniziative con l’obiettivo di rivalutare i beni culturali per i benefici che ne possono derivare in tutto il territorio.
La Sicilia, è ormai palese a tutti, è vocata al turismo, i suoi monumenti le sue spiagge sono la metà di turisti che ogni anno da tutta Europa ci preferiscono ad altre nazioni, ma fino a quando? Se non si riesce a valorizzare adeguatamente quanto la natura e la storia ci hanno consegnato.
Si corre il rischio di essere superati dalla competitività di altre nazioni, magari meno attrezzate però meglio organizzate. È di recente una iniziativa dell’Assessorato regionale al Turismo per il tramite l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Nicolosi, di un tour, che ogni sabato, fino a settembre offrirà gratuitamente ai turisti la possibilità di visitare alcune località Etnee ed ha avuto un notevole successo.Dunque che ben vengano iniziative finalizzate alla fruizione dei beni culturali o delle mete turistiche anche di piccoli centri come Calatabiano, ciò servirà ad innescare un circuito virtuoso che può fare da trampolino di lancio per lo sviluppo locale. Ringrazio ancora Gaetano Tradito e l’Associazione Trinacria ed auguro che l’iniziativa di questa sera possa avere in futuro i meritati riscontri.
Angelo Valastro
Consigliere Provinciale
Ringrazio Gaetano Tradito per l’invito e condivido appieno l’iniziativa dell’Associazione Trinacria che si sta impegnando per la salvaguardia di luoghi che vanno tutelati, non potevo mancare in qualità di consigliere provinciale che rappresenta il territorio, sono presente per un saluto e per eventuali necessità dovrebbero nascere nei rapporti con la Provincia Regionale di Catania potete contare sul mio aiuto. Non desidero dilungarmi ulteriormente non voglio togliere spazio agli illustri relatori che sapranno certamente relazionare meglio di me sul tema oggetto del convegno. Grazie.
Dott. Giuseppe Fumia
LA CHIESA DELLA MADONNA DELL’IMPERIO
Calatabiano, come paese d’antiche origini, ha visto passare nel suo territorio tante civiltà. Ciascuna di esse vi ha lasciato una traccia, una testimonianza più o meno cospicua che tuttavia, un po’ per il fluire del tempo, un po’ per l’insensibilità degli uomini, rischiano tutte di essere cancellate, anche dalla nostra memoria.
Ben vengano dunque iniziative, come questa dell’associazione culturale Trinacria di Gaetano Tradito, mirate a coltivare la memoria dei luoghi e dei monumenti edificati dai nostri avi.
Alcuni sono irrimediabilmente perduti, quelli che rimangono sono in paziente attesa che i calatabianesi imparino a cogliervi i messaggi, i sentimenti, le sensazioni che essi sanno dare e facciano qualcosa per tramandarli alle generazioni future.
Oggi come luogo che testimonia le civiltà passate di Calatabiano, abbiamo scelto di parlare di un monumento che i buoni concittadini di Pasteria, guidati da Don Enzo Grasso, hanno da pochi anni riqualificato trasformandolo da sito degradato in dignitoso tempio cristiano. Una chiesa che, stando alla volontà del parroco, potrebbe diventare anche santuario come forse quasi mille anni fa era nella volontà del suo fondatore, il Gran conte Ruggero I.
È chiaro che ci riferiamo alla chiesetta della Madonna dell’Imperio, una testimonianza del periodo dei Normanni.
Essa venne edificata nel 1092, ad un centinaio di metri dal fiume Alcantara, e dedicata alla Vergine che 13 anni prima aveva assistito le truppe di Ruggero nella vittoriosa conquista del castello di Calatabiano detenuto dagli Arabi.
Le imprese di Ruggero e del fratello Roberto il Guiscardo le conosciamo grazie al «De Rebus gestis Rogerii et Roberti Guiscardi», un’opera in quattro libri scritta da Goffredo Malaterra, un monaco benedettino al seguito dei due fratelli delle cui gesta fu testimone oculare.
Nelle cronache del Malaterra sono frequenti gli intrecci di miracoli di santi e di spade normanne, di prodigiose apparizioni della Madonna che mette in fuga orde d’infedeli e di cui si esagera la consistenza numerica in contrapposizione a quella esigua dei cavalieri cristiani. Quando durante la battaglia appariva la Vergine, e spesso anche San Giorgio, non solo erano legnate serie per i Saraceni, ma nel punto dell’apparizione sorgeva una chiesa che ricordasse e tramandasse l’evento.
Da noi, a distanza di pochi chilometri abbiamo un’altra testimonianza di chiesa edificata per grazia ricevuta.
È quella del Santuario della Madonna della Strada con il prospiciente pozzo di Ruggero, nei pressi di Giarre.
A questo punto occorre fare un brevissimo accenno al Cristianesimo dei Normanni. Dopo due secoli di permanenza in Europa il germe della dottrina di Cristo si era sviluppato nell’animo di quei rozzi guerrieri venuti dal Nord tanto che a poco a poco diventarono ferventi assertori del Cristianesimo e restauratori della fede cristiana nel regno di Sicilia.
Qualche storico sostiene che la restaurazione del Cristianesimo in Sicilia sia stata esclusivamente un pretesto per mettere piede nell’isola e conquistarla. Ciò è esagerato, però bisogna riconoscere che i Normanni cercarono la maggiore utilità pratica, per sé stessi e per il regno, dalla loro professione di fede cristiana di cui diventarono, come abbiamo detto, i più strenui paladini.
Tornando alla nostra chiesa, essa venne edificata -si legge nei documenti conservati nell’archivio del Capitolo della Cattedrale di Catania- in una zona di terreno facente parte dell’ -Orto di Messina -, il cui territorio coltivato quasi interamente a vigneti, era molto esteso
Premiazione Dott. Giuseppe Fumia
tanto da comprendere a nord l’Etna e a est la zona fino al feudo di Aci. La chiesa venne subito dotata del titolo di «Priorato di Santa Maria delle terre imperiali» e poi, per brevità, venne chiamata «Chiesa dell’Imperio».
Appartenuta al Capitolo della Cattedrale di Catania fino a 26 anni fa, il 12 maggio 1979 venne donata con scrittura privata alla Parrocchia San Giuseppe di Pasteria, poiché da tanto tempo il parroco di questa chiesa fungeva da cappellano. Il documento fu filmato dal priore e legale rappresentante del Capitolo Cattedrale di Catania, dal parroco di quel tempo Don Antonino Gonfalone e contro firmato dall’arcivescovo di Catania, monsignore Domenico Picchinenna e dal vescovo di Acireale monsignore Pasquale Bacile.
L’ingresso principale e il campanile non si trovavano anticamente dove li vediamo oggi, bensì nel lato opposto rivolto verso il mare. Negli anni Venti del secolo scorso, allorché venne ristrutturata la Statale 114 Messina – Catania, si ritenne opportuno facilitare l’accesso dei fedeli operando una breccia nella parte posteriore prospiciente la nuova strada e trasportandovi il portale 400sco di pietra lavica e il campanile.
La chiesa era frequentata soprattutto nella prima quindicina di agosto. I fedeli vi si recavano per recitare le orazioni alla Madonna in onore della quale il giorno dell’Assunta si svolgeva una sagra alla quale accorrevano calatabianesi e gente di Giardini. Era un trionfo di angurie, calia, semenza e vino. A conclusione gli immancabili giochi di fuoco. Negli anni sessanta la chiesa ebbe bisogno di restauri. Lottò tanto l’indimenticato Padre Carmelo Dominici, spesso inascoltato dai politici, per riportarla all’antico splendore. Non vi riuscì perché la morte lo colse immaturamente. Per tanti anni, salvo qualche inadeguato tentativo di restauro, la chiesa dell’Imperio fu rifugio di colombi e ricettacolo di sporcizia. I ladri vi operarono il resto col furto dell’arredo interno e della campana.
Poi, qualche anno fa, ancora un miracolo della Madonna. Il rudere, squallido degradato, fatiscente, si tramuta in un dignitoso e decoroso tempio di preghiera e luminosa casa di Maria.
Plaudiamo ancora all’iniziativa di Gaetano Tradito cui va il merito di richiamare alla mente i luoghi della memoria.
Coltivare, appunto, la memoria dei luoghi, attribuirvi un senso storico e memoriale è
di straordinaria importanza.
Se non riusciamo a farlo, se non riusciamo a riappropriarci della nostra identità, tutti i monumenti in cui si è attuata la storia, in cui hanno vissuto i nostri antenati, compresa la chiesa dell’Imperio, diventano muti e privi di significato. Come muta diventa la musica della vita se le corde della memoria le vengono strappate.
Prof. Antonino Alibrandi
IL CASTELLO DI CALATABIANO FRA FEDERICO II° DI SVEVIA E CARLO I° D’ANGIÒ
In questo mio intervento, partendo da quanto scritto nel mio “Dei Castelli e delle Torri” sul castello di Calatabiano, sottolineo come il maniero di Calatabiano abbia fatto parte di quella dinamica storica di revoche e di concessioni, che, per le motivazioni riportate in seguito, caratterizzarono, nel Mezzogiorno d’Italia, l’attività di Federico II° di Svevia e poi di Carlo I° d’Angiò, in merito ai beni, legittimi o usurpati, dei poteri locali.
Calatabiano ha evidente origine araba, almeno come toponimo; “Kalaat”, come è a tutti noto, significa “castello” e per il rimanente “biano” tutti hanno voluto vedere (senza mai provare, però) il nome del kakim che gli fu primo signore o che, comunque, lo governò in tal maniera da caratterizzarne l’esistenza: un certo Bian o Biano che dir si voglia. Il Castello, si ritiene, debba risalire proprio agli arabi, al X° secolo. Anche se ormai è accreditata la tesi che sul luogo, in periodo romano almeno, sia esistita qualche forma di fortificazione, per via di alcuni mattoni romani trovati negli attuali resti del maniero.
Sconfitti i Musulmani, non troviamo nel diploma del 1092 concessa Calatabiano al vescovo di Catania.
Dovette essere demaniale, e poi infeudata, sotto Gugliemo I°, a certo Roberto, che fu anche governatore del castello di Palermo. Morto anche il “Malo”, Roberto fu accusato dal Cancelliere Stefano di crudeltà contro coloro che avevano cospirato contro il defunto re. Roberto morì, dopo essere stato condannato nel carcere del Castello palermitano.
Toltagli la baronia di Calatabiano, questa passò al Demanio, dal quale ci risulta che fu comprata da Bartolomeo de Parisio (che gestì castro e terra insieme al figlio minore Gualtiero). Nel XII° sec., Pagano e Gualtiero succedettero al padre. Per il XII° sec., quel che ci stupisce è che di Calatabiano non fa nessun accenno il geografo arabo Idrisi nel suo “Libro di Ruggero” del 1154. Federico II di Svevia nacque il 24 dicembre 1194 (morirà il 13 dicembre 1250): Morti, Enrico VI, nel 1197, e Costanza d’Altavilla, nel 1198, iniziò la lunga reggenza sul Regno Meridionale, da parte di papa Innocenze III, fino alla maggiore età di Federico II nel 1208. A questa data Federico II trovò i poteri locali ricchi di beni, prerogative e diritti che questi avevano, per buona parte, incamerato, approfittando della minorità del sovrano, anche ricorrendo a falsi documentali, fingendo quei beni come legittimamente concessi da Enrico VI o dai re normanni. E il potere del giovane Federico II ne risultava, così, indebolito. Nella guerra di successione post – normanna, i de Parisio entrarono in collisione col potentissimo Vescovo di Catania.
Questa conflittualità dovette stare alla base della confisca dei beni calatabianesi operati dalla Reggenza nel 1200; e, nel giugno del 1201, Calatabiano, per sovrana concessione, fu dell’arcivescovo di Messina, Berardo.
Fu concessione passeggera, perché nel gennaio del 1208 (in coincidenza con l’uscita di minorità di Federico II) ritroviamo
Gualtiero de Parisio signori di Calatabiano.
Premiazione Prof. Antonino Alibrandi
La documentazione del tempo non chiarisce le motivazioni di questi passaggi signorili.
Il ritorno dei de Parisio al governo calatabianese coincise con la ripresa, da parte di questi, delle ostilità contro il vescovo di Catania, uno dei più potenti familiari del sovrano, Gualtiero di Palearia. Federico II di Svevia, nell’ottobre del 1209, risiedette, insieme alla consorte, in Catania, da dove tenne a ripristinare tutti quegli atti legislativi sulla sicurezza nel Regno, che avevano fatto della dinastia normanna la più mentovata per l’ordine interno nei loro domini. In quella occasione, Federico II maturò la strategia politica finalizzata al recupero del pieno diritto regio sui poteri locali, che riceverà definitiva attuazione solo più tardi, nel 1220-21, con gli “Editti di Capua”, con i quali obbligherà baroni e vescovi a provare la legittimità dei loro possessi e dei loro anche minuti diritti, pretendendo che dimostrassero che fossero stati propriamente concessi o dai re normanni o dal padre Enrico.
E dopo la presentazione dei documenti probatori, in verità Federico tolse non solo quanto d’illegittimo ma anche non poco del legittimo, il che gli inimicò talmente i poteri locali che questi svilupparono una cultura d’opposizione che ha tramandato una valutazione per nulla serena della politica imperiale.
In questa politica di “ripristino” del 1209, si inquadrò l’ordine dato al de Parisio (che nell’aspra lotta anti – vescovile era di nuovo collaborato dal fratello Pagano) di desistere dagli atteggiamenti bellici contro il vescovo Gualtiero.
Pagano e Gualtiero de Parisio non diedero ascolto all’Imperatore e, credendolo magari un re debole e facilmente ostacolabile, si armarono contro di lui, e si resero colpevoli di evidente lesa maestà. Federico II, pur con non molte forze, assediò ( o fece assediare; ciò nel dettaglio documentale non è chiaro) nel castello di Calatabiano i de Parisio e, dopo acre battaglia, ebbe la meglio; dei due fratelli, Gualtiero trovò la morte nella battaglia mentre Pagano fu catturato dagli imperiali e che fine abbia fatto non è stato tramandato.
Dalle deposizioni del 1266-67 al vescovo di Albano, Rodolfo.
Lavori di restauro al Salone Cruyllas
affinché fossero restituiti dall’ Angioino al vescovo di Catania i beni tolti dallo svevo, si trae che, dopo la capitolazione dei de Parisio, Calatabiano da Federico II, fu data al vescovo catanese come risarcimento dei danni che le ostilità gli avevano prodotto. È più probabile che ciò non sia avvenuto (non era comportamento tipico di Federico II neanche in quel tempo) e che invece tale affermazione servisse come pezza di appoggio, fasulla su cui il vescovado tentava una piena concessione, da parte di Carlo I° D’Angiò, di Calatabiano alla Mensa vescovile (poiché era praticamente impossibile, per il vescovo, tentare di dimostrare che Calatabiano gli fosse stato concesso dai Normanni). Tant’è che, secondo le deposizioni dei calatabianesi al vescovo Rodolfo, il potere del vescovo su Calatabiano ebbe durata breve, circa un mese, visto che col dicembre proprio nel 1209, anche per ammissione dei dichiaranti, Federico II° promulgò molte revoche di feudali concessioni, e fra queste rientrò anche Calatabiano.
Non è credibile la concessione del 1209 al vescovo Gualtiero, perché le revoche di quell’anno (che non nacquero per subitaneo colpo di testa, ma furono ben preparate da tempo) furono emanate proprio anche contro l’operato del Palearia, quando questi, prima di essere vescovo in Catania, fu Cancelliere del regno e da questo ruolo aveva largheggiato in concessioni feudali, dopo avere usufruito e aver fatto usufruire dei diritti e di beni del re, tanto da essere perfino apertamente rimproverato, per questo comportamento, da papa Innocenzo III°. Non si concedeva quello che, di li a pochissimo, si aveva intenzione di togliere!
Alla revoca di Calatabiano, fece opposizione Armaleo Monaldeschi, che aveva sposato la figlia di Gualtiero de Parisio, la quale ragazza, venuta a morte, aveva lasciato al marito ogni bene su Calatabiano.
L’Imperatore rispose, inizialmente, confermando non solo la confisca dei beni che erano stati di Gualtiero de Parisio, ma anche di quelli del Monaldeschi, quale erede della figlia. Ma, poi, la Corte (soprattutto per volere della regina Costanza) pervenne (1213) ad altra considerazione: concesse a vita Calatabiano allo stesso Armoleao Monaldeschi, col diritto di vendita (sottoposta a preventivo assenso regale).
Armoleao Monaldeschi in virtù del diritto di vendita, cedette, per 15.000 (o, forse per 13.000) tari, Calatabiano al vescovo di Catania, il Paleria, in una data fra il 1213 e 1214.11 vescovo di Catania, però, non ebbe nella pienezza del diritto feudale il castello e la terra di Calatabiano, perché la vendita non comprese l’alta giurisdizione, che rimase, invece, al sovrano. I Calatabianesi prestarono subito giuramento al vescovo, pur essendo vassalli di fatto ma non di diritto.
Ma, nel 1221, l’Imperatore affidò al vescovo Gualtiero di Palearia la spedizione navale per la conquista di Damietta, e così se ne sbarazzò.
Quindi, concesse Calatabiano (definita sempre “castrum”, per cui le poche povere case erano protette dalle mura del castello) di nuovo all’Arcivescovo messinese Berardo ( ricompensandolo per avere redatto le revoche negli “Editti di Capua” del 1220-21), della cui nipote Manna Federico II era amante. In epoca sveva, furono,
inoltre, signori di Calatabiano il taorminese Conte Berardo di Manopello, l’Ammiraglio Enrico di Malta, Ottaviano di Camullia, Giovanni Moro, Enrico di Montemoricino ( per i quali rimando al mio “Dei Castelli e delle Torri”). Sconfitto nella battaglia di Benevento ( 28 Febbraio 1266) re Manfredi, Carlo I d’Angiò divenne re di Sicilia (grazie anche al sostegno del Romano pontefice), governando l’isola fino ai Vespri del 1282.
Carlo I d’Angiò attuò, quindi una radicale, politica anti – sveva, restituendo il giusto e l’usurpato ai signori del Regno, con particolare attenzione ai feudi ecclesiastici.
E, subitaneamente, nello stesso 1266 avviò l’inchiesta per opera di Rodolfo vescovo di Albano, finalizzata alla restituzione al vescovo di Catania di quanto Federico II gli aveva tolto.
L’inchiesta (il microfilm degli atti originali delle deposizioni degli abitanti, delle terre etnee al vescovo Rodolfo è stato da me fatto rilevare, nel 1986, dall’Istituto di storia medievale dell’Università di Catania; gli atti originali si trovano nell’Archivio arcivescovile di Catania) ebbe fine nel 1267 e Calatabiano ritornò al vescovado di Catania, il quale poteva vantare per l’epoca
Fucina del fabbro o prigione, Castello Arabo – Normanno
sveva, solo un breve periodo di governo su quella terra a titolo di beneficio e, pur non essendo vero, un periodo di alcune settimane, come possedimento pienamente feudale. La concessione angioina al vescovo di Catania (allora, Ottone Capozzo) tenne conto, in verità, per Calatabiano, di ciò, è la concessione avvenne senza l’esercizio della giustizia. Molti hanno affermato che la restituzione di Calatabiano fu solo formale poiché il Castello nei registri angioini del 1272 fu rilevato come Demanio Regio. Riteniamo imperfetta questa considerazione.
Calatabiano, nel concreto, fu del vescovo di Catania, ma solo come concessione di un beneficio sulla terra, poiché l’intero feudo e soprattutto il castello rimasero formalmente e fattivamente nelle mani del nuovo sovrano. Il beneficio al vescovo fu dato nel 1269 senza che fosse accolto il tentativo di piena concessione feudale operato attraverso la falsa deposizione nel 1209;e,così, ammettendo che il vescovo catanese (che era Signore anche di Motta, Aci, Mascali, e nella stessa Catania) possedesse Calatabiano, nella sola forma legittima con cui l’aveva ottenuto in epoca sveva, cioè in quella del “beneficio”.
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Gaetano Tradito da lettura della relazione dell’Arch. Gaspare Mannoia
UNA CENERENTOLA NELLA PROVINCIA DI CATANIA
Premessa
Da Calatabiano non si passa: la si guarda solamente da lontano e si va oltre. Dall’autostrada Catania-Messina si gode, per alcuni secondi, l’interessante visione di ruderi informi posti sopra un cocuzzolo erto ed inospitale con due chiesette posate come ornamento lungo il crinale. Si va a Taormina, a Naxos, si va alle gole del fiume Alcantara, si va oltre o si ritorna ma già troppo tardi per trovare ancora un’ora da dedicare anche a quelle strane vestigia che incuriosiscono ma, sinceramente, non attraggono. Calatabiano è come una sorella
meno bella alla quale non solo vengono prestate meno attenzioni ma ella stessa finisce per adorare le consanguinee. Vi è sempre una Cenerentola in famiglia. Nella favola vi è un lieto fine supportato dalla bellezza della fanciulla in confronto alla goffaggine delle sorellastre. Vi è, dunque, un elemento forte su cui basare la rivincita. E se le sorellastre fossero state altrettanto belle? Beh! Allora sarebbe stata tutta un’altra storia e dagli esiti imprevedibili. Calatabiano deve trovare i propri punti di forza senza i quali il suo destino, ormai segnato, non potrà avere alcuna rivincita rispetto alle vicine consorelle. Ma vediamo quali sono i punti di forza di Calatabiano e quali le possibilità di valorizzazione. Calatabiano è uno dei comuni a nord della provincia di Catania che confinano con quella di Messina attraverso il corso del fiume Alcatara. L’attuale configurazione del centro abitato è il risultato di una drastica decisione assunta dopo il terremoto del centro distrutto dal sisma per riedificarlo ai piedi della collina. Tale scelta amministrativa non costituisce un fatto isolato nell’evento calamitoso e si deve anche al fatto che alla fine del Seicento la necessità di chiudersi entro le mura o arroccarsi nelle alture per scopi difensivi veniva ad essere sempre meno necessaria. Calatabiano come Grammichele, Avola e Noto ha, pertanto, una sede primitiva ed una attuale, distinte.
Le radici storiche, le testimonianze materiali, i resti di Calatabiano li dobbiamo ricercare non dentro l’attuale centro abitato ma sopra la collina dove rimangono ancora i segni dell’antico abitato. Sì, antico, poiché il centro di Calatabiano risente fortemente dell’influenza delle vicine e gloriose città della costa ionica: Naxos e Taormina entrambe importantissime nella storia della Sicilia sicula, greca e romana. Di riflesso, degli eventi che coinvolsero quelle località ne risentì tutta la zona intorno, specialmente quando gli abitanti dei due centri, per più volte, furono costretti ad abbandonare le loro case e rifugiarsi nei luoghi prossimi ed uno di questi fu proprio l’altura sulla quale sorse Calatabiano.
Prima che il terremoto distruggesse ogni costruzione urbana, Calatabiano era un borgo medievale, chiuso entro una cinta muraria fortificata, con spalti merlati e torri. Vi si accedeva per una porta dalla quale aveva inizio la tortuosa cordonata che, serpeggiando per più svolte sul dorso della collina, serviva i vari quartieri, lambiva le chiese e conduceva, infine, al castello, residenza del signore, posto nella parte sommitale.
Non sorprende che visitando la collina non ci si renda più conto che lo stesso luogo impervio, vagamente terrazzato, ospitava un intero abitato con case, botteghe, edifici pubblici ed una piazza; eppure basta visitare gli altri antichi centri, prima menzionati, per rendersi conto che trecento anni bastano per cancellare dalla faccia della terra un intero abitato se questo è stato devastato dal terremoto.
Allo stato attuale, la visita ai resti dell’antico borgo medievale ha inizio dalla piazza principale dove si trova la stradina che collega l’abitato odierno all’antica strada che si dirige verso il vecchio borgo.
Nella parte più bassa, si trovano le mura della fortificazione dove si apre l’unica porta di accesso. Il perimetro delle mura si snoda lungo la parte bassa della collina per ricongiungersi, in alto, nella zona più scoscesa, alle mura del castello. L’andamento della cinta segue la conformazione geologica, alternando tratti rettilinei a spezzate improvvise con torri cilindriche e rettangolari emergenti sull’allineamento. Molte parti non hanno retto la spinta delle macerie a monte e sono dirupati a valle lasciando un vistoso segno delle loro rovine. In altri tratti esistono ancora gli spalti con le merlature di tipo guelfo. Si nota che i manufatti difensivi non hanno avuto alcun adeguamento degli spalti al sopravvenuto uso delle armi da fuoco.
All’interno del borgo è facile leggere solamente il tracciato viario principale, costituito dalla cordonata che, dalla porta d’accesso, conduce all’ingresso del castello, passando avanti alla chiesa del Carmelo ed a quella del SS. Crocifisso. Vi è da considerare che per l’edificazione della nuova Calatabiano furono recuperate tutte le parti lapidee squadrate o decorate così come avvenne a Noto.
II castello
Se, come da molte parti si suppone, vi è stato un primo impianto in età greca si sarà trattato di un phrourion ossia una postazione militare, a guardia e difesa del territorio, coeva della colonia calcidese, nata alla foce del torrente Santa Venera, e legata, soprattutto, al primo abbandono della città avvenuto agli inizi del quinto secolo avanti Cristo. Ma oltre alle affermazioni probabilistiche non vi sono ancora elementi archeologici certi che ci possono confermare tale dato. Pertanto, il castello di Calatabiano, nella sua conformazione attuale, è indicato comunemente come arabo, ed è dato per costruito nel 902 da un càidi nome ‘al-Bìan. Questo ipotetico manufatto viene chiamato la fortezza di Bidio.
Dall’osservazione delle strutture emergenti si riscontra la presenza di escavazioni nella roccia per ricavarne grandi cisterne, tipiche anche dell’età greca, per la raccolta dell’acqua piovana ed ambienti forse anche di tipo tombale, ma nessuna apparecchiatura muraria riporta a strutture più antiche di quelle di età bizantina.Questo sia per la natura dei manufatti sia per il materiale fittile impiegato nelle rinzeppature, e non ultima, per la disposizione planimetrica di strutture circolari(queste ultime assai poco adoperate dai greci). Inoltre, notizie di rinvenimenti archeologici e scoperte monetarie, avvenute intorno alla fortezza, indicano una datazione che non va oltre il II secolo dopo Cristo.
Nel XV secolo, essendo signori di Calatabiano i Crujllas, furono realizzati i grandi lavori sulla collina con la costruzione della chiesa del borgo (1484) e l’allargamento del castello sino alla forma attuale. Con i Gravina il territorio di Calatabiano fu saccheggiato dal corsaro Draut ( 1544). Nel XVII secolo, la rivolta messinese dei “Merli e Marvizzi”, avvenuta nel 1674, dovette trasformare la valle antistante il castello, in un campo di battaglia ed il vecchio maniero in una caserma per l’arroccamento di un esiguo numero di soldati spagnoli. Per un intero anno gli assediati resistettero ai reiterati assalti dei francesi, fino a quando, arrivati nuovi rinforzi attraverso la valle dell’Alcantara e svoltasi una battaglia campale presso Gaggi, dopo accanitissima lotta, i francesi, sopraffatti, furono costretti alla fuga. Dopo quei fatti avvenne il terribile terremoto del 1693.
I resti
II castello occupa la parte sommitale del colle con una forma, grosso modo, trapezoidale alquanto allungata. Il nucleo più antico è senza dubbio quello più alto. Esso occupa una zona assai ristretta dell’intero fortilizio; resta delimitato da un muro con una porta assai ridotta, che è protetta dalla sovrastante corsia di ronda ricavata nello spessore della muratura. Questa parte del castello comprendeva il mastio di forma circolare entro cui si trovava la grande cisterna scavata nella roccia. Vi si notano ancora i segni delle travi di un primo impalcato ed un insospettabile servizio igienico. Vi si trova, inoltre, una postierla che immette all’esterno su un tratto esiguo di terreno, un balcone naturale prima del dirupo. Un vero incanto che immaginiamo coltivato con piante aromatiche e fiori. Sempre entro quest’area sommitale si trovano le escavazioni in roccia nei pressi del varco di accesso.La parte contenuta dalla seconda cinta muraria, più ampiamente a forma di trapezio, è quella quattrocentesca, costruita dai Cruyllas. Questa costituì la residenza castellana dei Gravina. Vi si conservano vari ambienti di soggiorno, recentemente restaurati (ed immediatamente danneggiati e depredati), tra questi va sottolineata la presenza della cappella palatina nel cui catino absidale si notano, chiari, i tratti di un affresco con il Cristo Pantocratore di scuola bizantina. La prima difesa del castello era affidata alla particolare posizione della cordonata che, prima di immettere nell’arco d’accesso, di impronta gotica, si accosta al muro esterno del castello, affiancandovi si per un lungo tratto, sempre offrendo il lato destro alle mura. In questo punto la cordonata si restringeva e lo spazio antistante l’ingresso, oltre agli spalti superiori, era difeso da un rivellino sulla destra e dai beccatelli posti sopra il portale di accesso. Una strategia che muove i primi passi nella fortificazione dell’antica Troia.
Conclusione
Dalla descrizione sembrerebbe poter immaginare già saloni, camere, ambienti, cappelle, cisterne, postierle, spalti. Tutti in bell’ordine, con corrimani, cartelli segnalatori, personale di accoglienza, guide. No. La maggior parte delle cose descritte la si deve ricostruire con l’esperienza maturata altrove visitando e studiando simili emergenze architettoniche mentre, in realtà, tranne alcuni elementi sottoposti a discutibile restauro, si tratta di
un ammasso di rovine completamente invase da erbacce ed in totale stato di incuria.
Dal castello di Calatabiano si godono bei panorami ampi verso la costa e di grande fascino è la vista dei monti che dal Veneretta digradano irregolarmente prima su Castelmola poi su Taormina e, con ulteriori balzi, al mare.
Le belle vedute da sole non bastano e neppure l’amore verso le antiche rovine, da parte di giovani impegnati e volenterosi, potranno risolvere alcun problema.
La soluzione parte sempre dalla “volontà politica”. E’ necessario quindi sensibilizzare i responsabili, gli amministratori (spesso poco illuminati), suggerire loro quali scelte operare, quali strategie intraprendere perché si possa parlare di premesse concrete per un piano di valorizzazione del territorio.
I punti di forza su cui potersi muovere per proporre una strategia di valorizzazione turistica e culturale di Calatabiano vanno ricercati nelle sue emergenze monumentali ma ancor prima storiche.
L’aspetto più rilevante è proprio la dualità del prima e del dopo, due momenti epocali ancora legati da un rapporto fisico tangibile dato dal sottile filo rosso di una popolare processione che in modo spettacolare, tutti gli anni, trascina a valle il santo Patrono dalla vecchia alla nuova città. La riscoperta della collina come antica sede dell’abitato, legata alla presenza del castello e alle due chiese potrebbe attrarre l’interesse di studiosi, l’attenzione di curiosi. Ma se all’aspetto statico delle emergenze si potesse legare quello di un artigianato tipico di valore e la presenza di una catena di punti di ristorazione esclusivi (e ciò non vuoi dire cari, altrimenti si ottiene l’effetto contrario) con pietanze tipiche della cultura contadina siciliana, chissà….
Filippa Catalano
presidente della Pro Loco Calatabiano è Filippa Catalano, ha esposto quali sono i compiti della Pro Loco, che è quello di promuovere il proprio temtorio, collaborare con l’Amministrazione comunale e le varie associazioni esistenti sul territorio, collaborazione fin ad oggi ottima.
La Pro Loco è iscritta all’UNPLI Associazione Nazionale Pro Loco Italiane, a cui è stato presentato un progetto intitolato: Calatabiano-Storia-Cultura e Tradizioni, e grazie ad esso si è ottenuto per un anno 2004/2005 il Servizio Civile, cioè due ragazze che giornalmente stavano alla Pro Loco e davano informazioni.
Inoltre insieme alle Pro Loco di Fiumefreddo, Linguaglossa, Piedimonte Etneo, Randazzo sono stati presentati degli Itinerari turistici , che sempre tramite l’UNPLI verranno pubblicati su delle schede che saranno inviati ai vari operatori turistici, che potranno organizzare delle visite della durata di un giorno o più .
Il presidente ha, inoltre, invitato tutti i presenti a diventare soci della Pro Loco.
Filippa Catalana Presidente della Pro Loco di Calalabiano
Geom. Antonino Muscarà
La presenza della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Catania a Calatabiano è stata sempre
attenta per le attività di tutela del grande patrimonio culturale esistente. In breve si possono citare una serie di interventi che hanno interessato, dal 1983 al 1994, i seguenti monumenti:
a) Chiesa di Gesù e Maria ;
b) Chiesa del SS. Crocifisso;
e) Chiesa Madonna del Carmelo;
d) Chiesa Madre;
e) Statua di Santa Caterina;
f) Castello di Calatabiano.
Il Castello in particolare, è stato interessato per iniziativa della Soprintendenza sin dal 1983, da una serie di interventi che, nel limite delle somme assegnate dall’Assessorato Regionale per i Beni Culturali ed Ambientali, hanno consentito di arrestare il grave stato di degrado delle strutture del Castello e della cinta muraria, sia della parte alta che di quella a quota bassa.
Queste opere sono state volute ed eseguite nel duplice intento di salvaguardare quanto è sopravvissuto alla totale incuria, ed a recuperare, ove legittimamente è stato possibile, l’immagine originaria del castello.
Gli interventi, diretti nel tempo rispettivamente dal Soprintendente arch. Paolo Paolini, dall’arch. Antonio Pavone e arch. Luigi Messina e per la parte relativa agli scavi archeologici dall’archeologo dott. Francesco Privitera, sono stati eseguiti nel rispetto della vigente cultura del restauro architettonico. I lavori hanno consentito, da un verso, di mettere in sicurezza alcune parti di murature a rischio assoluto e dall’altro di recuperare alcuni valori spaziali ( propri dell’essere architettura ) senza operazioni azzardate e meno che mai di falso storico.
Si tratta di interventi basati su integrazioni murarie o di coperture rispettosi dei criteri del corretto restauro con la riconfigurazione di sopravvivenze perfettamente leggibili ( sono state usate le stesse sedi delle travi delle coperture originali del sala Cruyllas) recuperando, in parte la “immagine del castello. Gli interventi consentono di distinguere, infatti, l’originario dalla integrazione e va rilevato che tale operazione tendeva, e tende anche oggi, a realizzare un complesso che, oltre a consentire grandi emozioni estetiche legate al fascino delle vecchie strutture e della eccezionalità del paesaggio circostante, possa ospitare manifestazioni del tipo culturale.
Addirittura, il restauro eseguito (che, come dice uno studioso della materia, deve fermarsi dove incomincia l’ipotesi), ha lasciato incomplete alcune parti (la parete sud del salone Cruyllas) proprio per non incorrere nel rischio di “invenzione”.
Nel corso degli interventi, oltre alle operazioni di restauro delle strutture murarie, si è proceduto al consolidamento del costone roccioso antistante il mastio, zona sud-est, a varie operazioni miranti alla conoscenza mediante rilievi, sia planimetrici che altimetrici, indagini non distruttive, ricerche storico-archivistiche nonché diversi interventi di ricerca mediante apposite campagne di scavo archeologico che hanno interessato sia il mastio che tutta l’area del borgo medievale.
È stata messa in luce una cisterna, nella parte nord-ovest del mastio, con reperti ceramici cinquecenteschi, oltre che tutta una serie di ambienti all’interno del borgo. Nel corso degli scavi sono state rinvenute monete di epoca aragonese e spagnola, ceramiche invetriate del tardo medioevo, frammenti di ferro, chiodi, una grossa piastra in pessime condizioni di conservazione, forse parte di una armatura, fino a residuati bellici della seconda guerra mondiale. Il materiale rinvenuto è custodito, parte a Calatabiano (già studiato e catalogato da parte dell’archeologo dott. Andrea Patane ) e parte presso i depositi della Soprintendenza.
Infine una nota sulle monete romane dell’imperatore Comodo: trattasi invece di monete spagnole del ‘500 che riportano la dicitura “UT COMMODIUS” ossia “per maggiore comodità” o “per spendere meglio”.
CONCLUSIONI
Riprende la parola Gaetano Tradito che a nome di tutti i soci dell’Associazione Trinacria ringrazia ancora una volta i relatori ed il pubblico che ha seguito con attenzione i lavori del convegno.
Vengono consegnate delle targhe ricordo a quanti hanno collaborato per riuscita della manifestazione.
Anche ad i realizzatori dei Murales, Vincenzo Azzolina, il giovanissimo Filippo Tradito, Maria Scuderi e Maria Elia, sono state consegnate delle targhe ricordo.
Murales in Via Garibaldi
La Locandina
Retro copertina
FINE